un po’ di storia
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La tredicesima tribù
KOESTLER ARTHUR
da ‘Lankelot’, 13/11/2007
Provocatorio. Provocatorio è l’aggettivo più adatto a neutralizzarne altri di più imbarazzanti. È l’aggettivo geniale per bollare un’opera sconveniente. Un’opera saggistica provocatoria non è scientifica, non si può prendere davvero sul serio. Allora possiamo fare grandi salotti sull’eleganza stilistica, o sull’erudizione dell’autore. In saggistica è come dire “Torna a scrivere romanzi”.
Infatti Arthur Koestler è autore di romanzi, il suo Buio a mezzogiorno, romanzo d’accusa dei metodi di epurazione staliniana, l’ha reso celebre all’opinione pubblica e inviso alla critica comunista negli anni del dopoguerra. Di origine ebraica, sionista, indipendente, l’intellettuale ungherese ha trascorso la sua vita ribadendo la paternità del suo pensiero, unica filiazione ideologica: se stesso. Libero di dire e soprattutto di non dire. Il perfetto giornalista britannico; infatti durante la guerra, dopo aver girovagato per mezza Europa, scelse Londra per soggiornarvi per tutto il resto della vita. Vita risolta, in età avanzata, tragicamente nel suicidio, che mai fugò le ombre che avvolgono la conduzione della sua vita privata.
La tredicesima tribù racconta molto dell’autore che senza esitazioni di sorta procede all’azione demolitrice del mito ebraico sull’origine e omogeneità della sua stirpe, per fornirne una nuova mappatura genetica. Niente di più semplice e leggero per chi si sente, in fondo, figlio di nessuno.
La derivazione semitica rappresenta, secondo l’opinione dell’autore, confortata da numerose testimonianze e dall’ausilio di colleghi saggisti, una piccola percentuale della comunità ebraica attualmente vivente. Come dire, delle dodici tribù originarie poco ne è rimasto, meno che mai in Israele. E allora da dove viene la grande maggioranza del popolo di Abramo? Sentite le parole dell’autore. “… ma ciò non toglie che la grande maggioranza degli ebrei sopravvissuti nel mondo provengano dall’Europa orientale e siano perciò forse di origine prevalentemente cazara. In questo caso, significherebbe che i loro antenati non provengano dal Giordano ma dal Volga, non da Canaan ma dal Caucaso, ritenuto un tempo la culla della razza ariana; dal punto di vista genetico sarebbero perciò più strettamente legate alle tribù degli unni, degli uiguri e dei magiari che al seme di Abramo, Isacco e Giacobbe.”. Boom.
Chi sono allora questi cazari? L’autore affonda nelle origini di questo popolo semisconosciuto e ci porta intorno alla metà del quinto secolo d.C. dove troviamo la prima traccia della loro presenza. Le tracce che Koestler si ritrova a commentare sono testimonianze ostili redatte dalle ambascerie dei popoli avversari o subalterni ai nostri cazari. Le tribù che componevano questo regno al Nord del Caucaso, tra il Mar Nero e il Mar Caspio, erano tribù di grandi cavalieri, guerrieri in grado di razziare le terre circostanti, imporre ingenti tributi ai popoli sconfitti, e di mettere a rischio l’equilibrio delle grandi potenze, in primo luogo quella bizantina, e successivamente quella del Califfo. E proprio quando l’ascesa dei discendenti di Maometto si fece sempre più pericolosa l’impero cazaro (ormai impero per le relazioni istituite con i popoli subalterni) svolse il ruolo di stato cuscinetto, in grado di arrestare a più riprese l’avanzata delle armate del Califfo. C’è chi ammette, come lo storico sovietico Artamonov (autore di I Cazari) e lo storico americano Dunlop, che senza questo contributo Bisanzio sarebbe caduta almeno cinquecento anni prima sotto le sciabole musulmane.
Ma la diplomazia bizantina, in piena realpolitik, non fu certo trasparente nei confronti della popolazione turca (a livello genetico) delle steppe. Prima cercò di sconfiggerla sul campo, resasi l’operazione complicata cercò attraverso doppi giochi e opportunismo la sua collaborazione in funzione di ultima roccaforte anti-islamica. Con la possibilità, un domani, di ribaltare gli accordi a proprio piacimento.
Il saggista procede con la descrizione dei costumi, dei riti, della figura del sovrano (il kagan, una doppia figura, composta da due sovrani con cariche diverse, soluzione politica emulata dai popoli adiacenti all’impero cazaro), delle abilità commerciali oltre che guerriere di questo popolo originariamente devoto ad una eterogenea religione pagana. Koestler affascina e impreziosisce con il suo stile la storia singolare dei cazari, e riserva molte sorprese riguardo ai processi di costituzione politica delle etnie che popolarono successivamente quelle zone, in primo luogo bulgari, polacchi, russi e magiari, tutti in rapporto diretto con la tredicesima tribù ebraica. Già, perché all’incirca intorno all’ottavo secolo d.C., come d’incanto, i cazari adottarono l’alfabeto degli ebrei e iniziarono a professarne la religione. Neanche per Koestler è semplice spiegare le motivazioni di questo avvenimento; sorgono improvvisamente sinagoghe e compaiono aspetti culturali tipici della tradizione ebraica. Comunque questo stravolgimento operò sulla mentalità del popolo un cambiamento dello stile di vita (non mancano aspetti divertenti sul quadro dei primi anni della commistione tra le due culture) che solo in parte stravolse vecchi equilibri. Anzi proprio l’apparente neutralità dei cazari rispetto allo scontro politico e religioso tra cristiani (bizantini) e musulmani potrebbe aver condotto, secondo Koestler, i cazari ad abbracciare una religione che confermasse e arricchisse il loro statuto neutrale. Non manca un racconto mitico della conversione del kagan, e un interessante scambio epistolare tra il rabbino di Cordova Hasdai e il kagan Giuseppe, in cui l’intellettuale ebreo si congratula e mostra la sua speranza per l’unica nazione ebraica.
Di ancor più difficile decifrazione è il fenomeno della nuova ondata di proselitismo da parte degli ebrei. Che interesse si aveva in quella precisa area politica? Le scarse fonti non ci aiutano a dare una risposta completa. La Cazaria divenne comunque negli anni una possibile meta sicura per gli ebrei ancora in piena Diaspora; la memoria talmudica alterna commenti positivi a critiche intransigenti dall’ala più ortodossa, dove senza mezzi termini si definiscono i cazari come razza bastarda.
L’autore prosegue il racconto con l’epilogo dell’impero cazaro, messo in grave crisi dalle ondate devastanti dei rus (popolo vichingo che dall’unione con i contadini slavi avrebbe dato vita alla stirpe russa) prima e dalle orde comandate da Gengis Khan poi. Già da tempo i cazari si erano spostati verso le terre ad Occidente (terre magiare, polacche soprattutto), dove erano considerati non più grandi guerrieri, ma depositari di una emancipata civilizzazione passata, e quindi ottimi consulenti per le aristocrazie delle nuove nazioni nascenti. La disgregazione finale della nazione cazara, in pieno Medioevo, offrì un forte impulso al movimento migratorio verso le terre confinanti ad Ovest.
E qui la seconda parte del libro. Koestler in queste pagine si dedica a dimostrare come la comunità askhenazita, figlia della cultura yiddish delle terre dell’Europa orientale, non sia altro che l’etnia discendente del glorioso impero cazaro. Nella dimostrazione Koestler apporta anche una confutazione della tesi riconosciuta sull’origine degli askhenaziti: non ci sono numeri per confermare l’ondata migratoria inversa, cioè quella che avrebbe dovuto portare la popolazione ebraica (quella sefardita) a varcare Pirenei ed Alpi fino a giungere in Germania e nei paesi dell’est Europeo.
Inoltre la tesi di Koestler confermerebbe le peculiarità, ed eterogeneità di questa comunità rispetto a quella sefardita.
Si arriva all’Olocausto, che in primo luogo annegò nel sangue le comunità tedesche e orientali, yiddish e askhenaziti di cui sopra. Le vittime dell’infamia nazista sarebbero le vittime di un fraintendimento storico. Il popolo che subì la barbarie nazista non fu la stirpe semitica, ma una stirpe di religione ebraica si, ma di origine turca.
domenica 11 novembre 2012